Testo della poesia
1. Ascoltami, i poeti laureati
2. si muovono soltanto fra le piante
3. dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
4. lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
5. fossi dove in pozzanghere
6. mezzo seccate agguantano i ragazzi
7. qualche sparuta anguilla:
8. le viuzze che seguono i ciglioni,
9. discendono tra i ciuffi delle canne
10. e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
11. Meglio se le gazzarre degli uccelli
12. si spengono inghiottite dall’azzurro:
13. più chiaro si ascolta il sussurro
14. dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
15. e i sensi di quest’odore
16. che non sa staccarsi da terra
17. e piove in petto una dolcezza inquieta.
18. Qui delle divertite passioni
19. per miracolo tace la guerra,
20. qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
21. ed è l’odore dei limoni.
22. Vedi, in questi silenzi in cui le cose
23. s’abbandonano e sembrano vicine
24. a tradire il loro ultimo segreto,
25. talora ci si aspetta
26. di scoprire uno sbaglio di Natura,
27. il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
28. il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
29. nel mezzo di una verità.
30. Lo sguardo fruga d’intorno,
31. la mente indaga accorda disunisce
32. nel profumo che dilaga
33. quando il giorno piú languisce.
34. Sono i silenzi in cui si vede
35. in ogni ombra umana che si allontana
36. qualche disturbata Divinità.
37. Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
38. nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
39. soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
40. La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
41. il tedio dell’inverno sulle case,
42. la luce si fa avara – amara l’anima.
43. Quando un giorno da un malchiuso portone
44. tra gli alberi di una corte
45. ci si mostrano i gialli dei limoni;
46. e il gelo del cuore si sfa,
47. e in petto ci scrosciano
48. le loro canzoni
49. le trombe d’oro della solarità.
Parafrasi affiancata
1. Ascoltami, i poeti illustri
2. Camminano sempre tra piante
3. Dal nome poco comune: bossi, ligustri o acanti.
4. Dal canto mio, io preferisco le strade che vanno a finire tra erbosi
5. Fossi, dove nelle pozzanghere
6. Quasi asciutte i ragazzi si divertono a catturare
7. Le poche anguille che vi sono rimaste:
8. Le stradine costeggiate da argini,
9. Che poi scendono tra le canne
10. E conducono negli orti, tra gli alberi di limoni.
11. È anche meglio quando i versi rumorosi degli uccelli
12. si fanno silenziosi e salgono nell’azzurro del cielo:
13. è così più facile sentire il fruscio
14. dei rami colorati scossi da una brezza leggerissima,
15. e l’essenza del loro odore
16. che rimane attaccato al suolo
17. e rovescia nel petto una dolcezza inquieta.
18. Qui le passioni in tumulto
19. Trovano una pace miracolosa,
20. Qui anche noi poveri possiamo trovare la ricchezza che ci è dovuta
21. Ed essa è proprio l’odore dei limoni.
22. Capisci, in queste atmosfere silenziose in cui le cose
23. si mostrano come sono e sembrano essere quasi pronte
24. a rivelare la loro origine,
25. ci si aspetta talvolta
26. di poter scoprire qualche passo falso della Natura.
27. il luogo in cui il mondo non esiste, l’anello mancante
28. il filo del gomitolo impossibile da sbrogliare, che finalmente ci faccia scoprire
29. una qualche certezza.
30. Lo sguardo allora cerca tutto intorno
31. la mente esplora, incatena ragionamenti e li disfa
32. nel momento in cui quel profumo si espande maggiormente
33. sul finire del giorno.
34. In questi silenzi sembra
35. che in ogni ombra umana che passando si allontana
36. vi sia una entità divina che si vergogna di mostrarsi.
37. Ma quest’illusione svanisce e il tempo della nostra vita ci riporta
38. Nelle nostre rumorose città, dove il cielo si può vedere
39. Solo a piccoli pezzi, in alto, tra i tetti dei palazzi.
40. La pioggia cade fitta sulla terra, poi; si fa fitta come un banco di nebbia
41. La noia dell’inverno sulle case,
42. La luce del giorno si fa via via più breve – si fa più malinconica l’anima.
43. Fino a un nuovo giorno in cui possiamo vedere attraverso un portone non del tutto chiuso
44. Tra gli altri alberi di un giardino
45. Il giallo degli alberi di limone;
46. E la freddezza del cuore si riscalda
47. E nel petto risuona
48. Il loro aspetto come fosse un inno
49. Suonato dai raggi del sole trasformati in trombe dorate.
Parafrasi discorsiva
Ascoltami, i poeti illustri camminano sempre tra piante dal nome poco comune: bossi, ligustri o acanti. Dal canto mio, io preferisco le strade che vanno a finire tra erbosi fossi, dove nelle pozzanghere quasi asciutte i ragazzi si divertono a catturare le poche anguille che vi sono rimaste: le stradine costeggiate da argini, che poi scendono tra le canne e conducono negli orti, tra gli alberi di limoni.
È anche meglio quando i versi rumorosi degli uccelli si fanno silenziosi e salgono nell’azzurro del cielo: è così più facile sentire il fruscio dei rami colorati scossi da una brezza leggerissima, e l’essenza del loro odore che rimane attaccato al suolo e rovescia nel petto una dolcezza inquieta. Qui le passioni in tumulto trovano una pace miracolosa, qui anche noi poveri possiamo trovare la ricchezza che ci è dovuta ed essa è proprio l’odore dei limoni.
Capisci, in queste atmosfere silenziose in cui le cose si mostrano come sono e sembrano essere quasi pronte a rivelare la loro origine, ci si aspetta talvolta di poter scoprire qualche passo falso della Natura. il luogo in cui il mondo non esiste, l’anello mancante, il filo del gomitolo impossibile da sbrogliare, che finalmente ci faccia scoprire una qualche certezza. Lo sguardo allora cerca tutto intorno, la mente esplora, incatena ragionamenti e li disfa nel momento in cui quel profumo si espande maggiormente sul finire del giorno. In questi silenzi sembra che in ogni ombra umana che passando si allontana vi sia una entità divina che si vergogna di mostrarsi.
Ma quest’illusione svanisce e il tempo della nostra vita ci riporta nelle nostre rumorose città, dove il cielo si può vedere solo a piccoli pezzi, in alto, tra i tetti dei palazzi. La pioggia cade fitta sulla terra, poi; si fa fitta come un banco di nebbia la noia dell’inverno sulle case, la luce del giorno si fa via via più breve – si fa più malinconica l’anima.
Fino a un nuovo giorno in cui possiamo vedere attraverso un portone non del tutto chiuso tra gli altri alberi di un giardino il giallo degli alberi di limone; e la freddezza del cuore si riscalda e nel petto risuona il loro aspetto come fosse un inno suonato dai raggi del sole trasformati in trombe dorate.
Figure Retoriche
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Analisi e Commento
I limoni è la poesia che Eugenio Montale utilizza come dichiarazione aperta di poetica nell’edizione di Ossi di seppia del 1925, la sua prima e celebre raccolta. L’importanza programmatica del componimento fa sì che venga collocata pressoché in apertura del testo, in seconda posizione, preceduta solo dalla lirica introduttiva In limine.
Con I limoni, i cui riferimenti sono metaforici ma facilmente riconoscibile, Montale voleva esplicitare come Ossi di seppia fosse concepita quasi quale rovesciamento parodico dell’Alcyone dannunziano, testo poetico di riferimento dell’Italia dei primi decenni del Novecento. Ossi di seppia, come Alcyone, è formalmente il diario poetico di un’estate, ma si tratta dell’estate assolata e arida delle Cinque Terre in Liguria, ben lontana dalle atmosfere erotiche e idilliache cantate da Gabriele D’Annunzio, e popolata dal “male di vivere”. Il titolo della raccolta allude agli scheletri delle seppie, “inutili macerie” lasciate dagli animali dopo la morte, trascinate a riva dalla corrente perché “rifiutate” dal mare stesso, utilizzate come simboli dell’esistenza umana.
I limoni è appunto la lirica in cui, mettendo immediatamente in chiaro la propria diversissima visione del mondo e della poesia rispetto alla generazione precedente, il poeta si smarca nettamente dal Vatismo del tardo Ottocento, apostrofando autori quali Giosuè Carducci e D’Annunzio come “poeti laureati”, specializzati nell’enfasi retorica e falsamente gloriosa. Proponendo la propria poesia, dal tono filosofico di ascendenza squisitamente leopardiana, che cerca il senso dell’esistenza tra stradine assolate e solitarie, Montale afferma che è venuto ormai il tempo delle incertezze piuttosto che dei proclami di grandezza.
I limoni che il poeta evoca al posto delle piante “dai nomi poco usati” sono allora un correlativo oggettivo, un oggetto quotidiano e semplice capace di sbloccare, almeno apparentemente, i meccanismi della memoria e del mistero dell’esistenza, che rendono solo apparentemente risolvibili i dubbi legati alla condizione umana.
E tuttavia i limoni sono anche metaforicamente “trombe della solarità” e della luce, ossia la fonte quegli attimi brevi e consolatori in cui l’intelletto umano e poetico si illude di poter afferrare certezze sull’esistenza, veritiere eppure aspre come l’odore degli agrumi.