Testo della poesia
1. Oh quei fanali come s’inseguono
2. accidïosi là dietro gli alberi,
3. tra i rami stillanti di pioggia
4. sbadigliando la luce su ’l fango!
5. Flebile, acuta, stridula fischia
6. la vaporiera da presso. Plumbeo
7. il cielo e il mattino d’autunno
8. come un grande fantasma n’è intorno.
9. Dove e a che move questa, che affrettasi
10. a’ carri fòschi, ravvolta e tacita
11. gente? a che ignoti dolori
12. o tormenti di speme lontana?
13. Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
14. al secco taglio dài de la guardia,
15. e al tempo incalzante i begli anni
16. dài, gl’istanti gioiti e i ricordi.
17. Van lungo il nero convoglio e vengono
18. incappucciati di nero i vigili,
19. com’ombre; una fioca lanterna
20. hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
21. freni tentati rendono un lugubre
22. rintócco lungo: di fondo a l’anima
23. un’eco di tedio risponde
24. doloroso, che spasimo pare.
25. E gli sportelli sbattuti al chiudere
26. paion oltraggi: scherno par l’ultimo
27. appello che rapido suona:
28. grossa scroscia su’ vetri la pioggia.
29. Già il mostro, conscio di sua metallica
30. anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
31. occhi sbarra; immane pe ’l buio
32. gitta il fischio che sfida lo spazio.
33. Va l’empio mostro; con traino orribile
34. sbattendo l’ale gli amor miei portasi.
35. Ahi, la bianca faccia e ’l bel velo
36. salutando scompar ne la tenebra.
37. O viso dolce di pallor roseo,
38. o stellanti occhi di pace, o candida
39. tra’ floridi ricci inchinata
40. pura fronte con atto soave!
41. Fremea la vita nel tepid’ aere,
42. fremea l’estate quando mi arrisero:
43. e il giovine sole di giugno
44. si piacea di baciar luminoso
45. in tra i riflessi del crin castanei
46. la molle guancia: come un’aureola
47. piú belli del sole i miei sogni
48. ricingean la persona gentile.
49. Sotto la pioggia, tra la caligine
50. torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
51. barcollo com’ebro, e mi tócco,
52. non anch’io fossi dunque un fantasma.
53. Oh qual caduta di foglie, gelida,
54. continua, muta, greve, su l’anima!
55. io credo che solo, che eterno,
56. che per tutto nel mondo è novembre.
57. Meglio a chi ’l senso smarrì de l’essere,
58. meglio quest’ombra, questa caligine:
59. io voglio io voglio adagiarmi
60. in un tedio che duri infinito.
Parafrasi affiancata
1. Oh quei lampioni della stazione, come si susseguono l’uno all’altro
2. pigri e monotoni in fila laggiù dietro gli alberi,
3. in mezzo ai rami gocciolanti di pioggia,
4. proiettando sul fango una luce così flebile da sembrare che stiano sbadigliando!
5-6. La vaporiera lì vicino fischia emettendo un rumore ora lieve, ora forte, ora pungente.
7. Il cielo nuvoloso (=”plumbeo” del v. 6) e la mattinata autunnale
8. stanno intorno a questo quadro malinconico come se fossero un grande fantasma.
9-11. Dove va e verso cosa si dirige questa gente silenziosa e avvolta nei mantelli che corre verso i convogli scuri del treno (“carri foschi”, v.9)? Verso quali dolori ancora sconosciuti
12. o sofferenze per una speranza impossibile da realizzare?
13. Lidia, ecco che tu, pensierosa, il biglietto
14. porgi al taglio secco del controllore,
15.così come offri (=il “dai” del v. 16) al tempo che scorre veloce e inarrestabile gli anni della giovinezza,
16. i momenti felici e i ricordi.
17. Vanno e vengono lungo la banchina che costeggia il treno scuro,
18. i vigili (= il personale delle ferrovie addetto ai freni), incappucciati in impermeabili neri, per ripararsi dalla pioggia
19. come se fossero ombre; hanno una lanterna che emette poca luce
20. e mazze di ferro: e i freni di ferro
21. sotto lo sforzo dato dall’arresto del treno restituiscono un macabro
22. e lungo rintocco, simile a quello delle campane funerarie: in fondo all’anima
23. a questo rumore corrisponde, come se fosse un’eco,
24. un’angoscia dolorosa, che sembra una fitta di chi è in fin di vita.
25. E gli sportelli d’ingresso sbattuti con forza quando vengono chiusi prima della partenza
26. sembrano offese rivolte a chi si separa: sembra una presa in giro l’ultimo
27. invito a salire che risuona veloce prima della chiusura delle porte:
28. la pioggia rumoreggia fitta sui vetri.
29. Già la locomotiva, simile a un mostro, consapevole dell’energia che ha dentro la sua struttura metallica
30. emette sbuffi di vapore, trema, ansima,
31. apre i suoi occhi di fuoco (=il “fiammei” del v. 30) (i fanali);
32. getta attraverso il buio il suo potentissimo fischio che lancia la sfida dell’uomo all’universo.
33. Parte il mostro crudele; trainando le carrozze con un rumore terrificanti,
34. sbattendo le ali (gli stantuffi) e porta via con sé il mio amore.
35. Ahimè il suo viso candido e il bel velo
36. scompaiono, avvolti nell’oscurità, mentre allontanandosi mi saluta.
37. Oh viso tenero con un pallore arrosato dalla gioventù,
38-40. oh occhi lucenti come stelle portatori di pace, o fronte bianca e pura, dolcemente incastonata tra ricci voluminosi!
41. Palpitava la vita nell’aria tiepida,
42. palpitava l’estate quando (gli occhi e il volto della donna) mi sorrisero
43. e il sole di giugno, di inizio estate
44. si divertiva a baciare con i suoi raggi luminosi
45-48. la morbida guancia filtrando tra i capelli castani: i miei sogni, più belli persino del sole, circondavano la delicata figura della donna come se fossero un’aureola di luce celeste.
49. Ora sotto la pioggia tra la nebbia
50. torno a casa da solo e vorrei confondermi con loro tanta è la mia malinconia;
51. traballo come se fossi ubriaco, e mi tocco
52. per assicurarmi di non essere anch’io dunque diventato un fantasma.
53. Oh, quante foglie morte che cadono freddissime,
54. incessanti una dopo l’altra, silenziose, pesanti sull’anima!
55-56. Io credo che in questo momento ovunque, in tutto il mondo, eternamente sia soltanto novembre, con la sua nebbia lugubre.
57-60. Per chi ha perduto il senso della vita è meglio questa oscurità, è meglio questa nebbia, io voglio, voglio fortemente cullarmi in una noia che duri per sempre.
Parafrasi discorsiva
[vv. 1-4] Oh quei lampioni della stazione, come si susseguono l’uno all’altro pigri e monotoni in fila laggiù dietro gli alberi, in mezzo ai rami gocciolanti di pioggia, proiettando sul fango una luce così flebile da sembrare che stiano sbadigliando!
[vv. 5-8] La vaporiera lì vicino fischia emettendo un rumore ora lieve, ora forte, ora pungente. Il cielo nuvoloso (=”plumbeo” del v. 6) e la mattinata autunnale stanno intorno a questo quadro malinconico come se fossero un grande fantasma.
[vv. 9-12] Dove va e verso cosa si dirige questa gente silenziosa e avvolta nei mantelli che corre verso i convogli scuri del treno (“carri foschi”, v.9)? Verso quali dolori ancora sconosciuti o sofferenze per una speranza impossibile da realizzare?
[vv. 13-16] Lidia, ecco che tu, pensierosa, il biglietto porgi al taglio secco del controllore, così come offri (=il “dai” del v. 16) al tempo che scorre veloce e inarrestabile gli anni della giovinezza, i momenti felici e i ricordi.
[vv. 17-20] Vanno e vengono lungo la banchina che costeggia il treno scuro, i vigili (= il personale delle ferrovie addetto ai freni), incappucciati in impermeabili neri, per ripararsi dalla pioggia come se fossero ombre; hanno una lanterna che emette poca luce e mazze di ferro: e i freni di ferro
[vv. 21-24] sotto lo sforzo dato dall’arresto del treno restituiscono un macabro e lungo rintocco, simile a quello delle campane funerarie: in fondo all’anima a questo rumore corrisponde, come se fosse un’eco, un’angoscia dolorosa, che sembra una fitta di chi è in fin di vita.
[vv. 25-28] E gli sportelli d’ingresso sbattuti con forza quando vengono chiusi prima della partenza sembrano offese rivolte a chi si separa: sembra una presa in giro l’ultimo invito a salire che risuona veloce prima della chiusura delle porte: la pioggia rumoreggia fitta sui vetri.
[vv. 29-32] Già la locomotiva, simile a un mostro, consapevole dell’energia che ha dentro la sua struttura metallica emette sbuffi di vapore, trema, ansima, apre i suoi occhi di fuoco (=il “fiammei” del v. 30) (i fanali); getta attraverso il buio il suo potentissimo fischio che lancia la sfida dell’uomo all’universo.
[vv. 33-36] Parte il mostro crudele; trainando le carrozze con un rumore terrificanti, sbattendo le ali (gli stantuffi) e porta via con sé il mio amore. Ahimè il suo viso candido e il bel velo scompaiono, avvolti nell’oscurità, mentre allontanandosi mi saluta.
[vv. 37-40] Oh viso tenero con un pallore arrosato dalla gioventù, oh occhi lucenti come stelle portatori di pace, o fronte bianca e pura, dolcemente incastonata tra ricci voluminosi!
[vv. 41-44] Palpitava la vita nell’aria tiepida, palpitava l’estate quando (gli occhi e il volto della donna) mi sorrisero e il sole di giugno, di inizio estate si divertiva a baciare con i suoi raggi luminosi
[vv. 45-48] la morbida guancia filtrando tra i capelli castani: i miei sogni, più belli persino del sole, circondavano la delicata figura della donna come se fossero un’aureola di luce celeste.
[vv. 49-52] Ora sotto la pioggia tra la nebbia torno a casa da solo e vorrei confondermi con loro tanta è la mia malinconia; traballo come se fossi ubriaco, e mi tocco per assicurarmi di non essere anch’io dunque diventato un fantasma.
[vv. 53-56] Oh, quante foglie morte che cadono freddissime, incessanti una dopo l’altra, silenziose, pesanti sull’anima! Io credo che in questo momento ovunque, in tutto il mondo, eternamente sia soltanto novembre, con la sua nebbia lugubre.
[vv. 57-60] Per chi ha perduto il senso della vita è meglio questa oscurità, è meglio questa nebbia, io voglio, voglio fortemente cullarmi in una noia che duri per sempre.
Figure Retoriche
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Enjambements
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Analisi e Commento
Nelle Odi barbare Carducci tenta un’operazione metrica abbastanza complessa: infatti, applica la metrica quantitativa antica al tipico verso italiano che si basa su un sistema metrico accentuativo (quindi è “barbaro”, da qui il titolo della raccolta). Qui, come nelle altre raccolte, Carducci alterna diverse tematiche: rievocazioni storiche, spunti autobiografici, rifugio nel passato idealizzato come un paradiso perduto.
La poesia Alla stazione in una mattina d’autunno, l’ultima delle Odi barbare, trae spunto da un episodio autobiografico del 1873: la partenza da Bologna di Lidia (è il nome con cui Carducci canta Carolina Cristofori Piva, donna alla quale il poeta fu legato per alcuni anni) e – come è tipico di molte liriche carducciane – prende l’avvio da una descrizione di qualcosa di concreto e presente per poi aprirsi alla rievocazione del passato. Lo scenario presente descritto non è per nulla poetico, bensì molto prosaico: si tratta, infatti, di una stazione ferroviaria, introdotta da un paesaggio quasi spettrale caratterizzato da nuvole, pioggia e fango; il poeta indugia su metafore molto evocative che ricordano le ardite personificazioni simboliste e, parallelamente, su particolari realistici molto banali e quotidiani come il biglietto forato dal controllore. Ciò per Carducci ha il preciso compito di sottolineare la tristezza e la grettezza della vita moderna, simboleggiata dalla stazione ferroviaria, che diventa sempre più un luogo infernale. Infatti, il treno era stato già utilizzato dal giovane Carducci nell’Inno a Satana come simbolo “bello e terribile” della modernità, ma qui diventa un emblema totalmente negativo, un “empio mostro”, in quanto il progresso è visto come portatore di grettezza e di tedio, che rende gli uomini simili a fantasmi.
La prima parte tutta negativa apre la strada alla fantasia del poeta, che richiama alla memoria l’immagine della donna amata, circondata da luce, calore, voglia di vivere, bellezza: anche il paesaggio rispecchia la gioia del poeta. Alla fine, però, si torna alla tristezza e al tedio del paesaggio iniziale, simbolo della pena e dell’angoscia esistenziale della vita moderna. Prevalgono, pertanto, la malinconia di Carducci e il rimpianto per la partenza della donna amata, Lina, chiamata Lidia per un accostamento al poeta latino Orazio: tutto riporta tristemente alla sua mente i giorni trascorsi insieme alla donna, ormai inevitabilmente trascorsi, con una perfetta fusione tra la descrizione del paesaggio esteriore e i sentimenti del poeta.
Stilisticamente, i versi del componimento Alla stazione in una mattina d’autunno hanno un andamento classicheggiante e sono decisamente ricchi di figure retoriche (soprattutto metafore e personificazioni, talora ardite ed enjambements) e presentano un lessico elevato e una sintassi complessa. D’altronde, Carducci utilizza anche termini fino ad allora sconosciuti al linguaggio poetico (“fanali”, “mazze di ferro”, “ferrei freni”, “vaporiera” ecc.), determinando il superamento delle convenzioni della lingua letteraria.
Confronti
In questo componimento è possibile notare la profonda evoluzione che ha caratterizzato il pensiero dell’autore nel corso della sua carriera letteraria. Nell’Inno a Satana, risalente al 1869, Carducci esaltava la locomotiva e il treno chiamandoli “Un bello e orribile / mostro si sferra, [che] corre gli oceani, corre la terra:”, ergendoli a simbolo del progresso che avrebbe portato i popoli a liberarsi di tiranni, oppressori e dogmi.
Secondo poi l’atteggiamento profondamente più conservatore assunto dal poeta nella sua produzione successiva – si pensi alla poesia…
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