Testo della poesia
1. Mio padre è stato per me “l’assassino”,
2. fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.
3. Allora ho visto ch’egli era un bambino,
4. e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.
5. Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
6. un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
7. Andò sempre pel mondo pellegrino;
8. più d’una donna l’ha amato e pasciuto.
9. Egli era gaio e leggero; mia madre
10. tùtti sentìva della vìta i pesi.
11. Di mano ei gli sfuggì come un pallone.
12. “Non somigliare – ammoniva – a tuo padre”.
13. Ed io più tardi in me stesso lo intesi:
14. erano due razze in antica tenzone.
Parafrasi affiancata
1. Ho chiamato mio padre “l’assassino” (il mascalzone)
2. fino ai miei vent’anni, quando finalmente l’ho conosciuto.
3-4. Solo allora ho potuto comprendere che egli era innocente come un bambino e che il mio dono (l’animo sensibile e il talento per la poesia) l’ho ricevuto da lui.
5-6. Aveva gli occhi azzurrini come me e, benché povero, aveva sempre in volto un sorriso dolce e furbo.
7. Per tutta la sua andò sempre peregrinando in diversi luoghi;
8. più di una donna l’ha amato e nutrito come una moglie.
9-10. Egli era gioioso e di spirito leggero; mia madre, al contrario, avvertiva su di sé tutti i pesi della vita.
11. Egli le sfuggì di mano come un pallone sfugge dalle mani di un bambino che gioca.
12. (Mia madre) Mi ammoniva dicendo: “Non somigliare a tuo padre”.
13. Ed io più tardi lo compresi con la mia riflessione:
14. Non potevano convivere perché erano di due razze differenti, da sempre in lotta tra di loro.
Parafrasi discorsiva
[vv. 1-4] Ho chiamato mio padre “l’assassino” (il mascalzone) fino ai miei vent’anni, quando finalmente l’ho conosciuto. Solo allora ho potuto comprendere che egli era innocente come un bambino e che il mio dono (l’animo sensibile e il talento per la poesia) l’ho ricevuto da lui.
[vv. 5-8] Aveva gli occhi azzurrini come me e, benché povero, aveva sempre in volto un sorriso dolce e furbo. Per tutta la sua andò sempre peregrinando in diversi luoghi; più di una donna l’ha amato e nutrito come una moglie.
[vv. 9-11] Egli era gioioso e di spirito leggero; mia madre, al contrario, avvertiva su di sé tutti i pesi della vita. Egli le sfuggì di mano come un pallone sfugge dalle mani di un bambino che gioca.
[vv. 12-14] (Mia madre) Mi ammoniva dicendo: “Non somigliare a tuo padre”. Ed io più tardi lo compresi con la mia riflessione: Non potevano convivere perché erano di due razze differenti, da sempre in lotta tra di loro.
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Analisi e Commento
Mio padre è stato per me “l’assassino” è un testo poetico contenuto nella sezione Autobiografia del Canzoniere di Umberto Saba. Nella raccolta Autobiografia, pubblicata per la prima volta nel 1924 sulla rivista “Primo Tempo” di Torino, il poeta si immerge nel proprio vissuto esistenziale ricavandone alcune tematiche (l’infanzia e la giovinezza, gli affetti, i momenti di crescita e di scoperta insieme agli episodi di vita quotidiana) che ritorneranno a più riprese anche nelle raccolte successive. Saba ripercorre le tappe essenziali della propria esistenza, insieme alle figure familiari che l’hanno segnata in modo indelebile, anche sulla scorta dei suoi studi di psicoanalisi e delle teorie di Freud sull’inconscio e lo sviluppo infantile. Il poeta, assumendo la prospettiva freudiana, decide di sondare gli abissi del proprio passato e di riportare a galla mediante la forma conciliatoria della poesia i suoi traumi più profondi, in un incessante esercizio di autoconfessione.
Il titolo della lirica nonché il primo verso rimandano proprio a Freud, che aveva analizzato il problematico rapporto tra padre e figlio in gran parte delle sue opere più celebri, teorizzando il complesso di Edipo, l’angoscia di castrazione e persino il ruolo del «parricidio primigenio» nell’origine delle civiltà e delle religioni¹. Tuttavia l’epiteto cruento del titolo (“l’assassino”) non è frutto dell’inconscio del poeta né fa riferimento ad alcunché di reale: è la madre di Saba, Felicita Rachele Cohen, ad apostrofare in questo modo il marito Ugo Edoardo Poli, che l’aveva abbandonata quando il piccolo Umberto non era ancora nato. Così per tutta l’infanzia e l’adolescenza il poeta può apprendere informazioni sul padre solo per interposta persona, attraverso lo sguardo sofferente e distorto della madre, che accusa l’uomo di aver “ucciso” il tentativo di formare una famiglia. Soltanto a vent’anni, quando Saba avrà modo di conoscere di persona il padre, l’immagine a tinte fosche dipintagli dalla madre si rivelerà menzognera e il padre gli si mostrerà nel suo vero volto, con i pregi e i difetti di qualunque essere umano.
Saba scorge ben presto inaspettate affinità fra lui e il padre, che vengono elencate nelle due quartine del sonetto: si tratta di somiglianze di tipo fisico come gli occhi azzurri e il sorriso al tempo stesso dolce e astuto, ma anche di profonde analogie caratteriali, in particolare l’animo sensibile e l’inclinazione verso la poesia, o lo spirito irrequieto che ha indotto il padre a spostarsi di continuo, amando più donne e incominciando più volte a mettere su famiglia, senza mai portare a termine il proposito iniziale. Descrivere il padre anche nelle sue debolezze permette a Saba di colmare il grande vuoto di un’assenza (si ricordi che per Freud non vi è bisogno infantile più intenso di quello di essere protetti da un padre²) con il ritratto di un uomo concreto, autentico, tangibile in tutte le sue contraddizioni.
Nelle due terzine Saba, dopo aver raggiunto una sincera pacificazione con il padre, prova a rintracciare le ragioni di quel repentino abbandono e, con un’analisi lucida ed essenziale, prende coscienza dell’insormontabile distanza caratteriale che lo separava dalla madre. La leggerezza e l’allegria di lui si scontravano di continuo con il temperamento grave, votato al tragico, di lei, così che nessuno dei due avrebbe potuto mitigare delle differenze tanto sostanziali: proprio la leggerezza del padre lo condusse lontano dalla madre, come se un pallone le fosse sfuggito dalle mani. Al dodicesimo verso il poeta riporta nuovamente una frase della madre, il severo monito a non somigliare al padre, un imperativo che in passato non aveva mai inteso fino in fondo e che soltanto ora è in grado di comprendere intimamente. Saba giunge al punto di “giustificare” il comportamento del padre, liberandolo dalla colpa che gli aveva imputato in passato, poiché, empaticamente, percepisce che egli ha agito secondo la propria natura, incline a godere della vita nella sua contingenza e ad allontanare le responsabilità. Non avrebbe potuto fare altrimenti, così come la madre non avrebbe potuto fare a meno di provare tanto astio nei suoi confronti: sono come destinati a trovarsi l’uno contro l’altra – sia per temperamento che per modi di vivere, costumi, educazione – e, proprio come due combattenti in «antica tenzone», il loro conflitto diventa agli occhi del poeta una lotta atavica e perpetua.
Come avviene in altri testi poetici della stessa raccolta, nella poesia Mio padre è stato per me “l’assassino” Umberto Saba utilizza una forma metrica tradizionale, quella del sonetto di endecasillabi con schema ritmico ABAB ABAB CDE CDE, e un lessico piano e dimesso, vicino alla lingua della quotidianità, con poche eccezioni desunte dalla tradizione letteraria (“pellegrino”, “pasciuto”, “tenzone”). Analogamente, nella sintassi gli iperbati e le anastrofi sono anch’essi una chiara ascendenza letteraria, mentre l’utilizzo del “che” polivalente al secondo verso potrebbe ricalcare, al contrario, gli usi di una lingua più umile e popolare.
¹ Si rimanda in particolare a Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni (1899); Totem e tabù (1913); Il disagio della civiltà (1929). Le Opere di Freud sono state pubblicate in Italia da Bollati Boringhieri (Torino).
² S. Freud, Il disagio della civiltà, Opere X, 1978, p. 565.
Confronti
Le vicende familiari legate all’infanzia di Saba segnarono profondamente la vita del poeta, che utilizzò la poesia e in particolare la sezione “Autobiografia” del Canzoniere per fornire un ritratto psichico di sé affrontato con la maturità degli anni nella sua completezza. Nella poesia…
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