Testo della poesia
1. Glauco, un fanciullo dalla chioma bionda,
2. dal bel vestito di marinaretto,
3. e dall’occhio sereno, con gioconda
4. voce mi disse, nel natìo dialetto:
5. Umberto, ma perché senza un diletto
6. tu consumi la vita, e par nasconda
7. un dolore o un mistero ogni tuo detto?
8. Perché non vieni con me sulla sponda
9. del mare, che in sue azzurre onde c’invita?
10. Qual è il pensiero che non dici, ascoso,
11. e che da noi, così a un tratto, t’invola?
12. Tu non sai come sia dolce la vita
13. agli amici che fuggi, e come vola
14. a me il mio tempo, allegro e immaginoso.
Parafrasi affiancata
1. Glauco, un ragazzo dai capelli biondi,
2. vestito alla marinara (con i calzoni corti e i calzini tirati su sino al ginocchio)
3–4. e sereno nello sguardo, mi disse con voce
gioiosa, nel dialetto del suo paese natale:
5–7. “Umberto, ma perché lasci che la tua vita scorra via così, senza concederti alcun divertimento, e sembra che ogni tua frase nasconda un dolore o un mistero?
8. Perché non vieni (a giocare) con me sulla riva
9. del mare, che ci invita fra le sue onde azzurre?
10. Qual è il pensiero nascosto che non confessi,
11. e che ti allontana da noi, così, all’improvviso?
12. Tu non sai quanto sia dolce la vita
13. per gli amici da cui tieni lontano, e quanto velocemente per me
14. voli il mio tempo, fra l’allegria e le fantasticherie della giovinezza”.
Parafrasi discorsiva
[vv. 1-4] Glauco, un ragazzo dai capelli biondi, vestito alla marinara (con i calzoni corti e i calzini tirati su sino al ginocchio) e sereno nello sguardo, mi disse con voce gioiosa, nel dialetto del suo paese natale:
[vv. 5-8] “Umberto, ma perché lasci che la tua vita scorra via così, senza concederti alcun divertimento, e sembra che ogni tua frase nasconda un dolore o un mistero? Perché non vieni (a giocare) con me sulla riva
[vv. 9-11] del mare, che ci invita fra le sue onde azzurre? Qual è il pensiero nascosto che non confessi, e che ti allontana da noi, così, all’improvviso?
[vv. 12-14] Tu non sai quanto sia dolce la vita per gli amici da cui tieni lontano, e quanto velocemente per me voli il mio tempo, fra l’allegria e le fantasticherie della giovinezza”.
Figure Retoriche
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Allitterazioni
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Analisi e Commento
Il testo poetico Glauco di Umberto Saba fa parte delle prime Poesie dell’adolescenza e giovanili, composte tra il 1900 e il 1903. In queste prime prove poetiche si avverte la volontà da parte dell’autore di inserirsi all’interno della tradizione italiana senza rinunciare alla “semplicità” di un’ispirazione autentica. Nella raccolta pubblicata nel ’21 si dispiegano infatti i principali nuclei poetici che caratterizzeranno anche in futuro la lirica sabiana: i lacerti di vissuto autobiografico, le figure archetipiche dell’infanzia e dell’adolescenza, la purezza di un sentito amore per la vita che convive con la consapevolezza dei propri tormenti psichici. L’impalcatura classicheggiante dei componimenti accoglie dunque l’ “onestà”¹ di una parola che, sin dagli albori, ha tentato di scandagliare le verità profonde dell’essere umano.
In Glauco Saba opta per l’utilizzo di una forma metrica tradizionale, quella del sonetto in endecasillabi costituito da due quartine a rima alternata (ABAB ABAB) e due terzine a rima incrociata (CDE CED). La prima quartina si apre con la presentazione del giovane Glauco attraverso una serie di tratti distintivi, la “chioma bionda” al v. 1, il “bel vestito da marinaretto” al v.2, l’”occhio sereno” e la “gioconda voce”.
Il nome dell’amico evoca una pluralità di figure mitologiche, fra le quali ricordiamo la divinità marina di cui narra Ovidio nelle Metamorfosi², in origine un pescatore della Beozia che acquisì l’immortalità dopo aver mangiato un’erba miracolosa, ma che fu destinato tuttavia a invecchiare. Nell’Iliade³ Glauco è invece il combattente alleato dei Troiani che tentò di strappare le armi al cadavere di Achille, gesto che gli costò a sua volta la vita; nella Biblioteca di Apollodoro⁴ e nelle Favole di Igino⁵ Glauco è inoltre il figlio di Minosse, morto quando era ancora bambino e risuscitato da Polido. Nella mitologia classica il personaggio di Glauco è insomma associato, attraverso una serie di variazioni, sia all’elemento marino (fluido, magico, in movimento), sia a un rapporto perturbante fra la vita e la morte. Il giovane amico di Saba, con la sua bellezza tutta terrena e con l’ingenuità tipica di quegli anni, chiama a sé l’autore con l’allocuzione iniziale della seconda quartina – che crea pertanto una simmetria con la prima – e gli chiede conto della sua separazione dagli altri compagni. L’io lirico risulta infatti estraneo al “diletto” che dovrebbe accomunare le vite di tutti i ragazzi, e questa sua estraneità è dovuta a “un dolore o un mistero” che sembra celarsi dietro ogni sua frase o comportamento.
Da questo punto in poi è evidente la forte ascendenza leopardiana che si propaga lungo la lirica: è da Leopardi che Saba prende in prestito la tematica della gioventù come epoca dell’immaginazione e dell’ingenuità, così come il contrasto fra le «favole antiche» del passato e l’«arido vero» del tempo presente, ma anche l’ineludibile separazione fra il poeta e il resto del consorzio umano, sin dall’età giovanile. Nelle due terzine, mentre Glauco invita il giovane Saba a seguirlo fra le “azzurre onde” del mare (metafora del flusso vitale e della spensieratezza gioiosa), la radicale distanza dell’autore è tratteggiata attraverso un lessico sempre più marcatamente leopardiano: “pensiero”, “ascoso”, “dolce”, fino all’ultimo verso, nel quale lo stesso Glauco si dimostra cosciente della fugacità del tempo, sebbene il suo presente di fanciullo riesca ad essere “allegro e immaginoso”⁶.
L’invito di Glauco e, di contro, la condizione tormentata dell’io lirico, sono entrambe costruite linguisticamente intorno a un “non detto” che percorre il testo: c’è una reticenza di fondo che induce l’autore ad allontanarsi dai compagni e l’amico a incalzare con un’interrogazione infinita (la sua domanda occupa infatti la seconda quartina e le due terzine), mentre adombra il presentimento che non riceverà risposta.
Saba si era dedicato sin dagli anni giovanili allo studio di Freud e della psicoanalisi, ed è proprio Freud a parlare delle reticenze e a descrivere l’improvviso affiorare dei pensieri inconsci nei gesti della vita quotidiana. In questo caso il pensiero occultato dell’io lirico è di natura duplice: emergono dal testo sia l’ossessione del tempo e della morte sia il delinearsi di un potenziale rapporto omoerotico fra il soggetto e il giovane amico, in quel periodo storico inevitabilmente soggetto a discriminazione e repressione.
Nell’analisi del testo di Glauco abbiamo dunque rinvenuto elementi metrici, linguistici e stilistici di matrice chiaramente classica e tradizionale, ma i contenuti veicolati dall’autore si rivelano decisamente attuali e «contemporanei», avendo origine da uno scavo profondo negli abissi dell’io e da una coscienza mai conciliata del proprio tormento, di uomo e di poeta.
¹ La formula «poesia onesta» proviene da un intervento che Saba scrisse nel 1911 per la rivista “La voce” e, sebbene rifiutato dalla rivista, fu poi ritrovato tra le carte del poeta e pubblicato nel 1959 con il titolo Quello che resta da fare ai poeti.
² Ovidio, Metamorfosi, XIII, vv. 898-968.
³ Omero, Iliade, VI, 119-236 e XVI, 490-601.
⁴ Apollodoro, Biblioteca, III, 3.
⁵ Igino, Favole, 136.
⁶ Si vedano in particolare testi come: La primavera, o delle favole antiche;Il pensiero dominante; A se stesso: «il brutto/ poter che, ascoso, a comun danno impera»; A Silvia: «e le sudate carte,/ ove il tempo mio primo/ e di me si spendea la miglior parte» (Leopardi, Canti, Napoli, Starita, 1835). In questi ultimi due casi è evidente la ripresa sabiana nell’utilizzo dell’aggettivo fra due virgole, in iperbato, al v. 10: «ascoso», e nell’allitterazione del v. 14: «a me il mio tempo».
Confronti
Il personaggio di Glauco, creato da Saba secondo una costruzione zeppa di riferimenti mitologici, presenta una serie di tratti autobiografici. Se prendiamo ad esempio il componimento Mio padre …
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