Testo della poesia
1. La bufera che sgronda sulle foglie
2. dure della magnolia i lunghi tuoni
3. marzolini e la grandine,
4. (i suoni di cristallo nel tuo nido
5. notturno ti sorprendono, dell’oro
6. che s’è spento sui mogani, sul taglio
7. dei libri rilegati, brucia ancora
8. una grana di zucchero nel guscio
9. delle tue palpebre)
10. il lampo che candisce
11. alberi e muro e li sorprende in quella
12. eternità d’istante – marmo manna
13. e distruzione – ch’entro te scolpita
14. porti per tua condanna e che ti lega
15. più che l’amore a me, strana sorella, –
16. e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
17. dei tamburelli sulla fossa fuia,
18. lo scalpicciare del fandango, e sopra
19. qualche gesto che annaspa…
20. Come quando
21. ti rivolgesti e con la mano, sgombra
22. la fronte dalla nube dei capelli,
23. mi salutasti – per entrar nel buio.
Parafrasi affiancata
«I principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani servono solo a perseguitarci» (dalla poesia A Dio di Agrippa d’Aubigné, poeta francese vissuto tra il 1522 e il 1630).
1. La bufera che scarica scrosciando di pioggia battente sulle foglie
2. dure dell’albero di magnolia il rumore prolungato dei suoi tuoni
3. del mese di marzo e la grandine,
4. (il picchiettio della grandine che sembra di cristallo in casa
5-9. ti sorprende e ti desta dal sonno durante la notte, di quell’oro che decora i tuoi mobili di mogano sulla copertina dei tuoi preziosi volumi rilegati, splende ancora, sulle tue palpebre chiuse come un guscio di noce, una scintilla piccola come un granello di zucchero che va spegnendosi
10. il lampo che illumina all’improvviso di un biancore pallidissimo
11. gli alberi e i muri e li immortala [come fosse il flash di una macchina fotografica]
12. in quell’istante eterno – il marmo del muro, la manna che cade dal cielo,
13. e la distruzione della tempesta – che tu porti eternamente scolpita come una statua dentro di te
14. per tua condanna e che ti lega (ti accomuna)
15. più dell’amore a me e al mio modo di essere, strana sorella, –
16. e poi lo schianto fragoroso del tuono, un rumore come quello dei sistri [strumento musicale antico simile alle nacchere], il picchiettare
17. dei chicchi di grandine come tamburelli sulla fossa ladra,
18. il calpestare della fanghiglia, e sopra
19. qualche gesto di qualcosa che annaspa [per riemergere dalle pozzanghere…]
20. Come quando [l’ultima volta che ci vedemmo]
21. ti voltasti verso di me e con la mano, dopo aver sgombrato
22. la fronte dalla frangia dei capelli,
23. mi salutasti – prima di sparire nel buio.
Parafrasi discorsiva
«I principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani servono solo a perseguitarci» (dalla poesia A Dio di Agrippa d’Aubigné, poeta francese vissuto tra il 1522 e il 1630).
La bufera che scarica scrosciando di pioggia battente sulle foglie dure dell’albero di magnolia il rumore prolungato dei suoi tuoni del mese di marzo e la grandine,
(il picchiettio della grandine che sembra di cristallo in casa ti sorprende e ti desta dal sonno durante la notte, di quell’oro che decora i tuoi mobili di mogano sulla copertina dei tuoi preziosi volumi rilegati, splende ancora, sulle tue palpebre chiuse come un guscio di noce, una scintilla piccola come un granello di zucchero che va spegnendosi)
il lampo che illumina all’improvviso di un biancore pallidissimo gli alberi e i muri e li immortala [come fosse il flash di una macchina fotografica] in quell’istante eterno – il marmo del muro, la manna che cade dal cielo, e la distruzione della tempesta – che tu porti eternamente scolpita come una statua dentro di te per tua condanna e che ti lega (ti accomuna) più dell’amore a me e al mio modo di essere, strana sorella, –
e poi lo schianto fragoroso del tuono, un rumore come quello dei sistri [strumento musicale antico simile alle nacchere], il picchiettare dei chicchi di grandine come tamburelli sulla fossa ladra, il calpestare della fanghiglia, e sopra qualche gesto di qualcosa che annaspa [per riemergere dalle pozzanghere…]
Come quando [l’ultima volta che ci vedemmo] ti voltasti verso di me e con la mano, dopo aver sgombrato la fronte dalla frangia dei capelli,
mi salutasti – prima di sparire nel buio.
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Allitterazioni
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Analisi e Commento
La poesia La bufera apre il ciclo di Finisterre, uscito nel 1943 a Lugano, poi nel 1945 a Firenze e, infine, confluito nella terza raccolta montaliana (La bufera e altro, 1956). Finisterre è un fascicolo di poesie scritte nei primi anni della seconda guerra mondiale, quale continuazione della raccolta Le occasioni, pubblicate inizialmente in Svizzera perché l’epigrafe ad apertura della raccolta (I principi non hanno occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani servono solo a perseguitarci), contro i principi sanguinari, ne impediva la pubblicazione in Italia.
La bufera e altro raccoglie le poesie scritte tra il 1940 e il 1954 che raccontano l’orrore del secondo conflitto mondiale e l’angoscia vissuta ai tempi della guerra fredda. Si tratta di una raccolta varia per tempi di composizione e temi e comprendente una sessantina di poesie ripartite in sette sezioni.
La bufera, come ci rivela lo stesso Montale in una lettera del 29 novembre 1965 all’amico Silvio Guarnieri, è la guerra, «in ispecie quella guerra dopo quella dittatura; ma è anche guerra cosmica, di sempre e di tutti». Il poeta ritiene che questa raccolta sia il suo libro migliore «sebbene non si possa penetrarlo senza rifare tutto il precedente itinerario. Nella Bufera è vivo il riflesso della mia condizione storica, della mia attualità d’uomo».
Ad ispirare le poesie del ciclo di Finisterre è Clizia, la stessa donna alla quale il poeta dedica i Mottetti della raccolta poetica Le occasioni. Clizia è la fanciulla mitologica innamorata di Apollo, la quale non staccava mai gli occhi dal suo dio, finché fu trasformata in girasole. Clizia è un nome-schermo: la donna in questione è Irma Brandeis, una giovane studentessa ebrea-americana conosciuta da Montale a Firenze nel 1933. Con “Clizia” Montale ha una relazione che dura qualche anno, fino al rientro della donna negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali. La figura femminile compare in forma salvifica, mediatrice tra il mondo terreno e ultraterreno, come le donne-angelo dello stilnovismo. In tutta la raccolta si evidenzia l’anelito del poeta verso l’eterno, anche se non si ha un vero e proprio approdo religioso.
Nella poesia La bufera la donna è la luce che squarcia le tenebre, l’unica speranza: la luce del lampo coincide, infatti, con l’evento negativo della bufera, ma è anche segno della rivoluzione angelica portata dalla donna.
La sintassi nominale che predomina nella lirica mette in rilievo gli elementi che fanno riferimento alla guerra: la bufera, il lampo, i sistri (che nell’antico Egitto erano utilizzati per le cerimonie funebri e qui diventano simboli di morte).
La prima strofa inizia proprio con la descrizione della bufera, alla quale si contrappone l’immagine salvifica della donna. La tempesta ritorna, poi, nella terza strofa attraverso il lampo che sembra fissare le cose per l’eternità illuminandole. La luce fa riferimento sia alla distruzione portata dalla guerra che alla presenza della donna portatrice di salvezza.
Clizia auspica che il mondo possa essere più puro, ma non riesce a portare a compimento questo ideale, e questo desiderio frustrato la lega al poeta in un’affinità quasi fraterna che è più forte dell’amore.
La sofferenza della donna la avvicina in qualche modo alla figura di Cristo, che ha sacrificato la sua stessa esistenza per il bene di tutta l’umanità e questo riferimento cristologico conferma la presenza del tema religioso nella raccolta La bufera e altro, anche se si tratta di una religione a-confessionale.
Nella quarta strofa della Bufera ricompare il motivo della guerra, attraverso il riferimento a rumori e suoni di morte, e compare il ricordo del dolore provato dal poeta staccandosi da Clizia che ritorna in America a causa delle persecuzioni razziali, e scompare nel buio dileguandosi nel vuoto.
Confronti
Nella produzione di Eugenio Montale, il riferimento alle donne è molteplice e segnato da alcuni elementi di costanza e malinconia. Negli ultimi versi di La bufera, egli ci racconta l’addio di Irma Brandeis, l’ebrea americana che non rivide più dopo il rimpatrio a causa delle leggi razziali. L’altro componimento, probabilmente il più celebre, dedicato a una donna è…
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