Trama
La vicenda è ambientata in via del Corno a Firenze e protagonisti sono i rituali gesti quotidiani degli abitanti e gli eventi singolari e significativi nella vita delle varie famiglie. Diventano così immediatamente di dominio pubblico l’arresto di Giulio o la sorte di Aurora messa incinta e tenuta come amante dal vecchio Nesi, la relazione di Ugo con la sua padrona di casa o il pestaggio di Alfredo ad opera dei fascisti. Ma, se uno scandalo può essere accettato e dimenticato dai cornacchiai, altrettanto non si può dire degli eventi inaugurati dalla Notte dell’Apocalisse, quando Maciste rimane ucciso cercando con Ugo di avvisare quei rossi condannati dai fascisti a un’esecuzione immediata. Il lavoro e gli innamoramenti continuano anche dopo un simile evento, ma la normalizzazione della dittatura fascista lede la spigliatezza tipica della strada: se ne avverte il peso nella prigionia di Ugo, nella segretezza della propaganda di Mario e Milena, nell’innaturalezza di quanti scelgono di vestire la camicia nera senza però trovarvisi a proprio agio.
Personaggi
Protagonista della vicenda è la coralità dei cornacchiai: uomini e donne, bambini e anziani, che abitano la fiorentina via del Corno, situata a pochi metri da Palazzo Vecchio. È comunque possibile focalizzare figure che, nella narrazione, spiccano sulle altre:
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- Corrado: il maniscalco; è soprannominato Maciste per via della sua altezza prossima ai due metri e della sua statura possente. Ha trent’anni, è stimato e benvoluto dai vicini, apprezzato dai clienti e rispettato dai fascisti: dopo aver tenuto testa da solo a una loro aggressione non è più stato disturbato. La moglie Margherita ha nei suoi confronti una devozione appena velata da un’ombra di timore. Nonostante lavori con i cavalli, Maciste è appassionato di moto. È militante comunista insieme a Ugo, venditore ambulante di frutta, dal carattere permaloso, ma onesto.
- Egisto Nesi: rifornisce di carbone gli abitanti della via. Per via del suo lavoro ha la faccia sempre sporca di nero, particolare in contrasto con il biancore della calvizie incipiente. Ha un’aria spiacevole, “servile e tenebrosa”; è furbo e altezzoso, possessivo e critico verso i suoi familiari, in particolare verso il figlio Otello. Il ragazzo, magro e malinconico, lo aiuta nella gestione della carbonaia. Cresciuto all’ombra dell’autorità paterna, Otello è animato da un forte senso di rivalsa e di ribellione nei suoi confronti.
- Carlino: è ragioniere e, nel romanzo, rappresenta la figura più devota al fascismo. Accecato da un «senso dell’avventura, della violenza, del sangue», è certo di operare anima e corpo per il bene della Patria. Crudele con gli oppositori, non si lascia frenare o intenerire da motivazioni personali. È infastidito da qualsiasi atteggiamento di mollezza ed indecisione fra i fascisti e la sua dichiarata integrità lo porta a litigare con il coinquilino Osvaldo, deciso a impegnarsi per la sua stessa causa, ma più fragile e tentennante.
Via del Corno, poi, ha visto crescere gli Angeli custodi: quattro ragazze – le più piccole stanno per compiere diciotto anni quando vengono introdotte sulla scena – molto belle, ma fra loro diversissime:
- Aurora: figlia di uno spazzino, vive con il bambino avuto da Egisto Nesi, confinata in un appartamento pagato da lui. L’uomo l’aveva violentata un sabato di inverno, quando si era recata inerme nel suo magazzino. Chi la incontra riconosce in lei uno sguardo «spento e illanguidito»: avvilita e prigioniera della situazione, l’immagine più adatta a ritrarla è quella che assume rannicchiandosi contro un angolo, per sfuggire alle frequenti e rabbiose percosse dell’amante.
- Milena: figlia di un ufficiale giudiziario, ha trascorso un’infanzia innocente, ricca di attenzioni da parte dei genitori e di sogni. Al momento del matrimonio con Alfredo, gestore di una bottega, è «creta ancora morbida», non modellata dalle difficoltà della vita. Nonostante un’iniziale ingenuità, però, messa alla prova si rivelerà una donna solida e matura: resistente alle lacrime e capace di dimostrarsi matura e coraggiosa.
- Bianca: figlia di un dolciere ambulante, è la più giovane delle quattro amiche. La dolcezza dei suoi capelli biondi e degli occhi verdi è resa amara da un’espressione malinconica; già da piccola appariva «la più dibattuta e insofferente». Rimasta orfana di madre all’età di nove anni non aveva infatti saputo trovare alcun calore nelle cure, pur ineccepibili, della nuova moglie del padre. È fidanzata con Mario.
- Clara: figlia di uno sterratore. Da sempre era apparsa come la più infantile del gruppo e, cresciuta, si dimostra «la più primaverile»: giovane nello sguardo, nei movimenti nella voce, senza rimanere chiusa in un’ingenuità da bambina. È fidanzata con Bruno.
Riassunto
La narrazione accoglie i piccoli e grandi gesti che scandiscono la vita degli abitanti di via del Corno. È questa una strada stretta e soffocante nel centro di Firenze, dove ci si conosce bene e ci si osserva dalle finestre, dove i pettegolezzi circolano frenetici e per un gesto inconsueto è impossibile rimanere nascosto.
In quest’atmosfera ognuno svolge regolarmente il proprio lavoro: in una delle botteghe della strada, nei giardini dove i bambini comprano mandorlati, lungo le strade con la ramazza o con un cesto da venditore, in stazione, in cantiere o in tipografia. La sera ci si ritrova a chiacchierare in strada, mentre in inverno le famiglie aprono a turno la propria porta accogliendo tutti per giocare a tombola.
La prima delle tre parti in cui è suddiviso Cronache di poveri amanti, presenta al lettore i cornacchiai e sembra volerlo abituare alla possibilità di monitorare una molteplicità di episodi fra loro intrecciati.
Esemplare in questo svolgersi parallelo di situazioni convergenti sulla medesima strada è la “settimana fatidica” a cavallo fra luglio e agosto del 1925: la carrellata di eventi significativi si apre il lunedì con l’aggressione subita da Alfredo mentre tornava a casa dal lavoro, per via del suo rifiuto di pagare ai fascisti una percentuale sull’introito del negozio. Lo stesso giorno, in strada, Maciste aveva schiaffeggiato Ugo, accusandolo di un contributo troppo blando alla causa socialista; e martedì gli abitanti possono afferrare un litigio anche fra i due fascisti della strada, Carlino e Osvaldo, inquilini dello stesso appartamento. Se mercoledì si verificano solamente «cose di ordinaria amministrazione», giovedì è invece il giorno della fuga di Otello Nesi con Aurora, la ragazza mantenuta dal padre. Il vecchio Nesi ha già di prima mattina un sentore negativo, trovando la carbonaia chiusa e nessuna traccia del figlio che normalmente lo affiancava nel lavoro; in qualche ora riesce a scoprirne la relazione con la sua stessa amante. È di venerdì però che il carbonaio, già turbato dalla spiacevole scoperta, subisce il colpo definitivo: viene arrestato in quanto ricettatore nel furto di cui era stato incolpato Giulio, e muore mentre la polizia lo scorta via dalla sua strada. Sabato vede culminare il litigio fra Carlino e Osvaldo e l’abbandono da parte di quest’ultimo dell’appartamento in cui era ospite. Il susseguirsi di circostanze singolari si conclude poi domenica con il ritorno in via del Corno di Aurora e Otello, accolti dalle rispettive famiglie dopo la morte del vecchio Nesi.
Tali personaggi e dinamiche risentono, nella seconda parte, dell’accelerazione impressa dal fascismo alla situazione politica fiorentina. Durante la Notte dell’Apocalisse, le brigate nere si riversano in città per giustiziare personalità di rilievo all’interno dell’opposizione. Ugo, riuscito a sottrarre a Osvaldo alcuni dei nomi contro cui si sarebbe scagliata l’esecuzione, ne rende partecipe Maciste e comincia per i due una corsa contro il tempo per prevenire i fascisti. A bordo di un sidecar, dipinto come «la stella cometa che annunzia il diluvio agli uomini di buona volontà» i due dimenticano i precedenti dissapori e si tuffano in una notte spettrale riuscendo in parte nella missione che non avevano esitato ad assumersi. Il sidecar sarà però raggiunto da un’automobile fascista e il pericolo affrontato costerà la vita a Maciste.
La terza parte è poi quella della normalizzazione del regime, della Nuova Era, in cui accanto al «pulviscolo quotidiano», troneggia la difficoltà di accettare i drammi verificatisi; in cui le abitudini gioviali incarnate dalle festività cittadine si mescolano ad un insuperabile fondo di rancore.
Oltre a confrontarsi con la realtà quotidiana e personale in cui si confrontano con innamoramenti e tradimenti, litigi e ristrettezze economiche, i cornacchiai imparano a riconoscere il male come «una cosa di questa terra». Glielo testimoniano la morte di Alfredo incapace di superare i traumi del pestaggio ricevuto, prigionia di Ugo, la fuga di Mario comunque raggiunto dalla polizia. Lo testimoniano i licenziamenti o le sospensioni di chiunque rifiuti di aderire al partito unico.
Anche la Signora, personaggio abile e calcolatore, perde in un attimo il proprio prestigio e si riduce ad una creatura priva di senno che si diverte a fare bolle di sapone o a sputare sui passanti dalla sua finestra.
L’intera strada, rinchiusa «dentro il guscio della propria coscienza intimidita», si piega alla necessità di mostrarsi fascista e porta il peso di una realtà difficile da definire e spiegare, oltre che da accettare: «In questo anno noi abbiamo creduto di avere imparato molte cose – sono le parole di Milena – tante che ora vorrebbero uscirci di bocca tutte insieme e ci tolgono la possibilità di esprimerci come vorremmo. Prima era più facile!»
Analisi e Commento
Pratolini ha avuto una conoscenza diretta, per avervi abitato, della realtà di via del Corno. Del resto egli stesso si ritrae nelle pagine conclusive di Cronache dei poveri amanti nei panni di Renzo, un ragazzino appena trasferitovisi e accolto dai coetanei, introdotto a scoprire quanto la strada ha da offrire di particolare.
L’autore dimostra la propria «simpatia […] per intrecci di vicende complesse, che pure non vogliono limitarsi alla sola cronaca, alla memoria e alla fantasia, bensì disporsi da soli sulle pagine»1. La stretta via, infatti, è dipinta come un ambiente assolutamente peculiare, e in quanto tale è stata scelta come osservatorio privilegiato dell’intera Firenze.
La strada non ha di per sé alcuna importanza oggettiva, tanto che «occorre abitarvi, o averci degli interessi particolari, per incontrarla», ma ha in compenso un carattere comprensibile solo a chi ne abbia fatto esperienza. I pettegolezzi ostinati e imperterriti non sembrano dipinti come atteggiamenti morbosi, ma trovano anzi nella genuinità con cui sono condotti la loro caratteristica più piacevole.
Del resto i cornacchiai, nella loro semplicità, riescono a mettere le loro difficoltà e i loro turbamenti in comune, provano ad alleggerirli lasciando la porta aperta a quell’«elemento allegro e scanzonato» incarnato da Ugo prima e poi da Mario, alla giovialità delle scampanate in onore della festa della Madonna, o delle fiere quaresimali.
Durante la Notte dell’Apocalisse, viene suggerito un paragone con via della Robbia, «una strada quieta e pulita», dove però nessuno sembra destarsi al rumore delle esecuzioni fasciste; in via del Corno invece uno sgarbo è dimenticato in fretta, un segreto che possa ferire una madre è tenuto nascosto, si spera che Milena arrivi in tempo per avvertire Mario della polizia ferma in strada ad attenderlo.
La via di Cronache di poveri amanti, oltre ad essere scenario assolutamente preminente degli eventi narrati, ne diventa un protagonista corale, cui lo stesso narratore fa riferimento come ad un’entità compatta. «La nostra strada», come spessissimo viene chiamata, è un organismo che unito si mette in ascolto dietro le finestre («via del Corno è tutta udito») e subisce le condizioni meteorologiche avverse («la nostra strada è fredda e intirizzita»); ma è anche un unico personaggio nei confronti del quale si può essere sdegnati («Ugo ha tolto la confidenza a via del Corno») o che sceglie all’unisono come comportarsi davanti ad un lutto («quest’anno via del Corno non ha solennizzato il Carnevale»). La sua “forza di vita corale” diventa così «contegno esistenziale, lezione di costume umano»2.
L’autore sembra sottolineare la propria convinzione nell’importanza di a quanto avviene in questa strada, con un intervento diretto e puntuale. Il caratteristico modo di Pratolini «di intervenire sulla sua opera, sui problemi che ne derivano, con chiarimenti, riflessioni aperte» è «segno di una disposizione a sorvegliare attentamente […] il proprio lavoro»3. L’autore anticipa infatti la centralità di eventi successivi («anche per la nostra strada si preparano mesi che lasceranno il segno»), inserisce incisi in cui interpella direttamente i suoi personaggi («Chi ti ha insegnato, Bianca, queste parole? Sono proprio tue?»), soprattutto stimola il lettore a cogliere i meccanismi motore della vicenda e l’innegabile profondità dei cornacchiai: «Ma leggiamogli dentro il cuore, ai conracchiai. Vedremo paura, indubbiamente, lo si è detto, sgomento anche. Chiediamoci allora di dove nascono questi sentimenti».
1 F. Russo, Vasco Pratolini. Introduzione e guida allo studio dell’opera pratoliniana, Le Monnier, Firenze, 1989, p. 59. 2 Ivi, p. 60. 3 Ivi, p. 65.