Analisi e Commento
Labirinto, inconscio, sdoppiamento. E poi William Wilson, perfettamente integrato in questo clima di instabilità mista a terrore. È attraverso un simile racconto che Edgar Allan Poe si insinua tra i rami intricati di una tematica come quella del doppio, tematica che è possibile incontrare già nelle prime forme di letteratura e teatro, e che viene ripresa poi, continuamente, nel corso dei secoli nella sua graduale evoluzione.
Se, però, originariamente si privilegia la messa in scena di un doppio come identità rubata da qualche forza soprannaturale, quindi esterna al personaggio, o di doppio come forte somiglianza tra due individui che può sì turbare, per la confusione che comporta, i personaggi agenti ma contemporaneamente suscita reazioni di comico nello spettatore, nel corso del Novecento e con la letteratura fantastica, le cose cambiano e si approda ad un doppio che turba a fondo e completamente la coscienza, sia dei personaggi che del lettore: è il perturbante, ciò che dà il titolo allo stesso saggio freudiano del 1919.
Il William Wilson di Poe è un personaggio che racconta retrospettivamente quale sia stata la sua vita cattiva e dissoluta, partendo da una descrizione di infanzia e adolescenza trascorse in un collegio e approdando al racconto della sua singolare morte avvenuta in seguito ad alcuni episodi cruciali di scontro con una presenza strana che, sin da subito, aveva cominciato ad occupare le sue giornate e i suoi pensieri. La presenza strana viene delineata nei suoi caratteri essenziali in modo crescente all'interno della narrazione, con l'aggiunta graduale di dettagli sempre nuovi: innanzitutto si descrive il ragazzino perturbante come un ragazzino che sembrerebbe divertirsi a contrastare il protagonista e a tenergli testa (peraltro, l'unico in grado di farlo fra tutti gli studenti del collegio) ma allo stesso tempo tendente al manifestare nei suoi confronti un qualche affetto o preoccupazione, una sorta di volontà di controllo e supervisione sui suoi comportamenti. Si viene poi a sapere che quel ragazzino ha lo stesso nome del protagonista (dettaglio questo che inizialmente sembrerebbe non preoccupare dato il carattere comune del nome, appunto, William Wilson), stessa data di nascita e che è entrato nel collegio lo stesso giorno in cui vi è entrato il protagonista.
Tutto ciò conduce al culmine della situazione, aumentando sempre più la tensione, fino al momento in cui, di notte, il protagonista, nell'avvicinarsi al viso addormentato di quel ragazzino, ne riconosce immediatamente i tratti, l'espressione, i caratteri: sono esattamente i suoi e, nel sonno, trovano la manifestazione più evidente di quella profonda somiglianza. Un solo dettaglio è differente nei due e indice di quale sia la vera identità dell'”impostore”: William Wilson due non ha una voce chiara e squillante, ma conserva sempre un tono molto basso e sussurrato, sebbene il timbro sia identico a quello di William Wilson uno.
Chiaramente, dunque, William Wilson due è l'inconscio, il doppio come coscienza morale, quella istanza autogiudicante che Freud definirà Super Io; si spiega in questo modo perché il protagonista, una volta fuggito dal collegio, si troverà ad essere immancabilmente seguito da quella presenza inquietante e a trovarvisi puntualmente di fronte, interrotto da quel terrificante sussurro, ogni qual volta sfiorerà il limite massimo di degradazione morale.
Come si può leggere nel saggio di Marchetti, E.A. Poe, la scrittura eterogenea, «nel racconto di Poe non si tratta di proiezione dell'eroe in un altro avente le caratteristiche di una complementarità speculare ma un 'se stesso' vivente al di fuori della sfera dell'Io sebbene dotato di nessuna autonomia finanche nel nome». Non siamo dunque di fronte al doppio speculare di Stevenson o alla moltiplicazione dell'io a cui si assiste ne "Il sosia" di Dostoevskij, ma di fronte ai meccanismi di una psiche che sovrappone i piani e sconvolge i paradigmi di realtà, introducendo elementi spesso illogici e inspiegabili, dinamiche tipiche della letteratura fantastica e ricondotte da Otto Rank, nel suo saggio sul doppio, alle stesse dinamiche psichiche dei loro autori, tutti dalle personalità patologiche e con un livello di nevrosi arrivato agli eccessi.
È innegabile, comunque, che ci si trovi di fronte a realtà fortemente tormentate e, nello specifico di questo racconto, ad un protagonista che credendo di uccidere, in preda alla disperazione, colui che è usurpatore della sua identità e di liberarsi da tanta oppressione, finisce in realtà per uccidere sé stesso, in una lotta spietata che non può avere altra via d'uscita.