Introduzione
Si è soliti definire Nedda come il testo che segnò il passaggio di Giovanni Verga dalla scrittura ricca di pathos tipica della Scapigliatura a quella impersonale e realistica del Verismo. In realtà, il passaggio da uno stile all’altro avvenne per lo scrittore in maniera graduale: dopo i primi romanzi di gusto scapigliato, Tigre reale e Eros, Nedda è il primo racconto in cui lo scrittore sperimenta quella narrazione impersonale che sarà fatta propria nei grandi romanzi del Ciclo dei Vinti, mantenendo vivo il tono melodrammatico dei racconti precedenti.
Inoltre, si tratta del primo racconto, insieme al romanzo Storia di una capinera, ad ambientazione siciliana, altro tratto tipico della sua produzione successiva, che verrà inaugurata proprio con la raccolta Primavera, in cui Nedda confluirà due anni dopo il successo ottenuto con la prima pubblicazione sulla Rivista italiana e in volume per Brigola nel 1874.
Trama
Nedda Di Gaudio è una umile raccoglitrice di olive che, per prendersi cura della madre malata, cerca lavoro di fattoria in fattoria nell’ambientazione rurale e misera di Ravanusa, piccolo paese in provincia di Agrigento. La ragazza vedrà in breve tempo morire la madre e si legherà al contadino Janù, anche lui presto defunto a seguito di un incidente sul lavoro. La figlia nata dall’amore per lui, nata anch’essa malata, morirà prematuramente, lasciando sola Nedda con la sua disperazione.
Temi principali
Giovanni Verga, come si evince dall’incipit del racconto, rivolge la narrazione di Nedda alle agiate classi borghesi di Milano, città in cui egli vive in quel periodo, per fare luce sulla condizione crudele a cui sono sottoposte le classi rurali del meridione, gravate dalla miseria e da un’asprissima lotta per la sopravvivenza.
Se l’ambientazione è dunque pienamente verista, il tono della narrazione, accompagnato dal carattere estremamente umile e rassegnato della protagonista, è tinto da una forte aura di pathos. Nedda, infatti, a differenza dei “Vinti” protagonisti de I Malavoglia o Mastro-don Gesualdo, non immagina nemmeno di poter sovvertire lo stato delle cose e scalare i gradini della società, ma accetta il suo destino con devozione religiosa e tragica rassegnazione.
Riassunto
Il racconto si apre con un’introduzione del narratore, che evoca davanti a un focolare una vicenda di cui lo zampillare del fuoco che man mano si affievolisce gli suscita un ricordo. Nedda, detta la Varannisa a causa delle proprie origini, si trasferisce da Viagrande a Ravanusa, vicino paese dell’agrigentino, dove vaga in cerca di lavoro come raccoglitrice di olive. Personaggio dal carattere dimesso, umile ed estremamente rassegnato alle proprie sfortune, cerca di prendersi cura della madre gravemente malata che, tuttavia, presto morirà lasciandola sola.
Estremamente devota alla Vergine di San Giovanni la Punta, al santuario della quale può spesso recarsi di ritorno dal lavoro, si innamora del contadino Janù, proseguendo il lavoro per poter restare vicino a lui. Questi è pesantemente gravato da febbre malarica, ma è costretto a continuare a lavorare malgrado le precarie condizioni di salute. Le speranze di matrimonio di Nedda si estinguono, infatti, nel giorno in cui Janù, fatalmente debilitato dalla malattia, muore cadendo da un olivo, lasciando la protagonista incinta di una bambina. La piccola sarà anche lei destinata a morte prematura, essendo nata già fortemente “rachitica e stenta” e non essendo la misera e sola Nedda in condizione di poterle fornire il necessario per vivere e le dovute cure. Con la morte della bambina si conclude infine il calvario della protagonista, che depone la piccola sul letto di morte ringraziando la Vergine per averla fatta morire prima di poter vivere le stesse sventure che il destino le aveva riservato.
Analisi e Commento
La struttura narrativa di Nedda pone i primordi della narrazione impersonale che Verga poi svilupperà pienamente nei romanzi del Ciclo dei vinti, realizzata attraverso la presenza di un narratore onnisciente che evoca i fatti senza mai immettere il proprio giudizio morale né commentando ciò che succede. In questo caso, il narratore si trova letteralmente a distanza dai fatti: esplicita infatti, all’inizio del racconto, di trovarsi davanti al caminetto in un comodo appartamento borghese – presumiamo – della Milano tardo-ottocentesca.
Essendo, come dice il narratore stesso, il focolare quasi una “figura rettorica”, egli prende a pretesto la narrazione delle storie davanti al fuoco, tipica dell’antichità e della civiltà contadina, per introdurre il suo pubblico borghese all’atmosfera lontanissima dalle loro abitudini che sta per descrivere. I fatti sono appunto dislocati nella Sicilia più profonda, all’epoca regione da poco annessa al Regno d’Italia e ancora lontana dall’industrializzazione che aveva invece fortemente arricchito il Nord, divenuto allora il motore economico dell’appena nata nazione.
All’interno di questo mondo fatto di fattorie, campi e santuari dedicati a vergini e santi si muove Nedda, alle prese con la lotta contro la miseria e le malattie, piaga ancora corposa nell’arretratezza del mondo rurale. La serie di lutti che colpiscono la protagonista – la madre, il futuro marito e la figlia – la pongono in condizione di non poter essere accettata dalla società già di per sé sofferente in cui cerca disperatamente di entrare. Il rifiuto è inoltre simbolicamente espresso dal nomignolo di Nedda, la Ravannisa, che la etichetta subito come “straniera” persino nell’ambiente provinciale e ristretto in cui nasce e vive.
Gli elementi popolari, a partire dai nomignoli dialettali che Verga utilizzerà largamente a partire dai titoli stessi dei Malavoglia o Mastro-don Gesualdo, e l’atmosfera realista del racconto risentono però degli ideali della produzione giovanile di Verga, legata al tardo-romanticismo e la Scapigliatura. Nedda, come l’eroina del romanzo coevo Storia di una capinera, è una donna che attraversa una serie di soprusi, lutti, disgrazie ed esclusioni che prendono il tratto del martirio. Tuttavia, in questa sopportazione dei mali che nel romanzo è resa con la devozione assoluta al volere del cielo e della vergine, si configura come un lento calvario a cui la protagonista non sa né vuole sottrarsi, essendo consapevole di non avere alcuna speranza di sfuggire alla crudeltà del fato e degli uomini.