Testo della poesia

1. Placida notte, e verecondo raggio
2. della cadente luna; e tu, che spunti
3. fra la tacita selva in su la rupe,
4. nunzio del giorno; oh dilettose e care,
5. mentre ignote mi fûr l’Erinni e il Fato,
6. sembianze agli occhi miei; giá non arride
7. spettacol molle ai disperati affetti.
8. Noi l’insueto allor gaudio ravviva,
9. quando per l’etra liquido si volve
10. e per li campi trepidanti il flutto
11. polveroso de’ Noti, e quando il carro,
12. grave carro di Giove, a noi sul capo
13. tonando, il tenebroso aere divide.
14. Noi per le balze e le profonde valli
15. natar giova tra’ nembi, e noi la vasta
16. fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto
17. fiume alla dubbia sponda
18. il suono e la vittrice ira dell’onda.

19. Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
20. sei tu, rorida terra. Ahi! di codesta
21. infinita beltá parte nessuna
22. alla misera Saffo i numi e l’empia
23. sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni
24. vile, o Natura, e grave ospite addetta,
25. e dispregiata amante, alle vezzose
26. tue forme il core e le pupille invano
27. supplichevole intendo. A me non ride
28. l’aprico margo, e dall’eterea porta
29. il mattutino albor; me non il canto
30. de’ colorati augelli, e non de’ faggi
31. il murmure saluta; e dove all’ombra
32. degl’inchinati salici dispiega
33. candido rivo il puro seno, al mio
34. lubrico piè le flessuose linfe
35. disdegnando sottragge,
36. e preme in fuga l’odorate spiagge.

37. Qual fallo mai, qual sí nefando eccesso
38. macchiommi anzi il natale, onde sí torvo
39. il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
40. In che peccai bambina, allor che ignara
41. di misfatto è la vita, onde poi scemo
42. di giovanezza, e disfiorato, al fuso
43. dell’indomita Parca si volvesse
44. il ferrigno mio stame? Incaute voci
45. spande il tuo labbro: i destinati eventi
46. move arcano consiglio. Arcano è tutto,
47. fuor che il nostro dolor. Negletta prole
48. nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
49. de’ celesti si posa. Oh cure, oh speme
50. de’ piú verd’anni! Alle sembianze il Padre,
51. alle amene sembianze, eterno regno
52. die’ nelle genti; e per virili imprese,
53. per dotta lira o canto,
54. virtú non luce in disadorno ammanto.

55. Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
56. rifuggirá l’ignudo animo a Dite,
57. e il crudo fallo emenderá del cieco
58. dispensator de’ casi. E tu, cui lungo
59. amore indarno, e lunga fede, e vano
60. d’implacato desio furor mi strinse,
61. vivi felice, se felice in terra
62. visse nato mortal. Me non asperse
63. del soave licor del doglio avaro
64. Giove, poi che perîr gl’inganni e il sogno
65. della mia fanciullezza. Ogni piú lieto
66. giorno di nostra etá primo s’invola.
67. Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l’ombra
68. della gelida morte. Ecco di tante
69. sperate palme e dilettosi errori,
70. il Tartaro m’avanza; e il prode ingegno
71. han la tenaria diva,
72. e l’atra notte, e la silente riva.

Parafrasi affiancata

In costruzione…

Un Commento

Silvia Distaso

L’analisi svolta è precisa e molto interessante perchè ben si evidenzia il passaggio da un pessimismo “storico”, inteso come viva sofferenza singola in un momento di atmosfera stagnante dell’Italia, ad uno “cosmico” in cui Leopardi manifesta l’idea di una decisiva e inasabile infelicità dell’uomo. Il Canto infatti è una completa protesta contro l’ingiustizia delle diseguaglianza fisica e non sociale (S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Nistri-Lischi, Pisa 1969). Il passaggio da Natura, madre pietosa a quella matrigna è in parte già compiuto a partire dal 1819 anno in cui fra l’altro si aggravano le condizioni di salute del poeta italiano. Il pessimismo leopardiano non è un semplice riflesso della sua condizione fisica (certo è fondamentale) ma questa, da esperrienza individuale diventa uno “strumento conoscitivo” in grado di rappresentare il rapporto Uomo-Natura.