Testo della poesia
1. Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
2. che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
3. e ’l vago lume oltra misura ardea
4. di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;
5. e ’l viso di pietosi color’ farsi,
6. non so se vero o falso, mi parea:
7. i’ che l’esca amorosa al petto avea,
8. qual meraviglia se di sùbito arsi?
9. Non era l’andar suo cosa mortale,
10. ma d’angelica forma; e le parole
11. sonavan altro che, pur voce umana;
12. uno spirto celeste, un vivo sole
13. fu quel ch’i’ vidi: e se non fosse or tale,
14. piagha per allentar d’arco non sana.
Parafrasi affiancata
1. I biondi capelli come l’oro (di Laura) erano sparsi al vento,
2. che li avvolgeva in tanti dolci giri,
3/4. e la bella luce di quegli occhi, che ora sono così privi di luminosità, splendeva straordinariamente;
5. e il viso mi sembrava (v. 6: “mi parea”) assumere un’espressione di benevolenza nei miei confronti
6. Ma non posso dire con certezza se ciò fosse vero o falso:
7. io che avevo confitta nel petto il dardo dell’amore,
8. cosa c’è da stupirsi se subito arsi d’amore?
9. Il suo incedere non era quello di un corpo mortale,
10. ma di uno spirito angelico, e la sua voce
11. aveva un suono diverso da una soltanto (pur) umana;
12. una creatura del cielo, un sole vivente
13. fu quello che vidi; e anche nel caso in cui non avesse più quell’aspetto,
14. di certo la ferita procurata da una freccia non si risana solo perché la corda dell’arco, dopo il colpo sferrato, si allenta.
Parafrasi discorsiva
I capelli biondi come l’oro (di Laura) erano sparsi al vento, che soffiando li avvolgeva in tanti dolci giri, e la bella luce di quegli occhi, che ora sono così privi di luminosità, splendeva straordinariamente;
e il viso mi sembrava (v. 6: “mi parea”) assumere un’espressione di benevolenza nei miei confronti, ma non posso dire con certezza se ciò fosse vero o falso: io che avevo confitto nel petto il dardo dell’amore, cosa c’è da stupirsi se subito ne avvampai?
Il suo incedere non era quello di un corpo mortale, ma di uno spirito angelico, e la sua voce aveva un suono diverso da una soltanto (pur) umana;
una creatura del cielo, un sole vivente fu quello che vidi; e anche nel caso in cui non avesse più quell’aspetto, di certo la ferita procurata da una freccia non si risana solo perché la corda dell’arco, dopo il colpo sferrato, si allenta.
Figure Retoriche
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Anacoluti
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Anastrofi
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Analisi e Commento
Il componimento Erano i capei d’oro a l’aura sparsi fa parte del libro di liriche del Petrarca, il Canzoniere (titolo originale: Rerum vulgarium fragmenta), raccolta di trecentosessantasei poesie che raccontano la storia dell’amore del poeta per Laura e la decisione, dopo la morte di lei, di abbandonare le illusioni mondane per cercare in Dio la fine degli affanni terreni e la salvezza.
Il componimento 90 è uno dei vertici del Canzoniere nonché della lirica italiana, probabilmente il più noto sonetto del Petrarca. Vi compare il celebre senhal (pr. segnàl), vale a dire il gioco onomastico di nascondimento-allusione del nome della donna amata (l’aura = Laura), procedimento frequentissimo nel Canzoniere come nella lirica precedente, ma che questo sonetto più di tutti consacra e rende memorabile.
È presente, specialmente nelle terzine, il tema stilnovistico della donna angelo come creatura sovrannaturale e miracolosa, ma è evidente la distanza fra l’impiego di questo motivo da parte ad esempio di Dante e la sua rielaborazione petrarchesca. Innanzitutto, mentre l’apparizione angelica si impone allo stilnovista con certezza immediata e oggettiva, per Petrarca essa è invece proiettata nel passato, in un tempo remoto e imprecisato che sopravvive soltanto nella memoria, in un ricordo dai contorni sfumati. La Laura-dea era quindi tale al momento dell’incontro e non adesso che è invecchiata, come brevemente ricordano gli ultimi due versi: sulla provenienza celeste della donna prevalgono insomma i tipici temi petrarcheschi del trascorrere inesorabile del tempo e della caducità delle cose terrene. In secondo luogo, è chiara alla coscienza di Petrarca la natura illusoria e non autentica della visione descritta, come dimostrano le frequenti espressioni di dubbio: non so se vero o falso, mi parea, se non fosse or tale.
Quasi simbolica di queste due diverse concezioni è la differenza fra il significato del verbo parere in questo sonetto (v. 6, parea cioè “sembrava”) e in Tanto gentile e tanto onesta pare di Dante (pare cioè “appare”, “è evidente che è”). Per Petrarca, pertanto, la natura angelica della donna è collocata in una pura dimensione soggettiva, di sensazione e di “impressione”, e anzi persino l’innamoramento è presentato come dettato da una condizione psicologica del poeta (vv. 7-8, i’ che l’esca amorosa al petto avea, / qual meraviglia se di subito arsi?). Il motivo della donna angelo, in definitiva, torna ad avere come nella lirica prestilnovistica il semplice ruolo di esagerazione iperbolica, senza veri e propri risvolti metafisici e sovrannaturali.
Dal punto di vista stilistico, Erano i capei d’oro a l’aura sparsi si inquadra in una solida struttura di simmetria fra quartine e terzine che gli conferisce una rigorosa architettura: erano (v. 1), or (v. 4) nelle quartine si oppone a non era (v. 9), non fosse or (v. 13) nelle terzine. Il lessico è più che mai selezionato e tradizionale, se non stereotipato: i nodi dei capelli sono dolci, il lume degli occhi è vago, gli occhi stessi sono belli; allo stesso modo le immagini metaforiche sono standardizzate e convenzionali: i capelli biondi sono d’oro, per amore il poeta arse.
Confronti
Il primo e immediato confronto ravvicinato è con un noto componimento dantesco. È impossibile, infatti, non porre un riferimento tra Erano i capei d’oro a l’aura sparsi e il celeberrimo sonetto dantesco che prende il titolo di…
Domande di verifica sono spesso basate sui confronti tra diverse opere e autori.
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ottima analisi, chiara ed esaustiva.
Grazie mille per le vostre analisi, ma volevo chiedere, non c’è un’altro chiasmo al verso 9 e 10? “cosa (sost.) mortale (agg.) ma d’angelica (agg.) forma (sost.)”? Grazie.
Tra il verso 13 e 14 l’immagine della ferita causata dall’arco non può essere considerata una metafora?