10 Commenti e Domande

l’interpretazione fa parte dell’opera. l’infinto è sopra tutto. ognuno di questi aggiunge qualcosa. se lo leggo io .. è meglio che lo faccia a bassa voce

Giustino Mucci

Mi trovi sostanzialmente d’accordo. Penso tu abbia inteso quanto ho scritto. Grazie del commento, un saluto.

Angela Giandomenico

L’interpretazione di Gassman è,a parer mio, senza alcun dubbio, la migliore!Carmelo Bene lo trovo “sguaiato”. Questo idillio va interpretato in modo da riuscire a trasmettere l’avventura interiore, nata dalla contemplazione…

Giustino Mucci

Ciao Angela, sì Carmelo Bene viola evidentemente la ritmicità propria del componimento e poi è anche abbastanza “caratteristica”, diciamo così, e divide gli ascoltatori. Anche a me quella di Gassman piace molto, come ho scritto.

All’università il mio prof. di Letteratura Italiana iniziava l’esame chiedendoci di interpretare un testo poetico dell’autore del corso. Solo chi superava questa prima prova poteva continuare l’orale. Sosteneva che fosse l’unico modo per accertarsi che lo studente avesse pienamente capito l’opera e il suo autore.
A proposito di Leopardi, ci sono interessanti studi su Leopardi e la sua musicalità.
Saluti e complimenti per il tuo blog!

Giustino Mucci

Ciao Morena. Innanzitutto ho letto la tua risposta sul tuo blog e ti ringrazio per i complimenti; apprezzamenti che mi fanno e ci fanno sicuramente andare avanti con quest’impresa. E poi, sono d’accordo con te, bisogna lavorare fortemente sui testi per dar avvio al processo formativo. Cosa non scontata mi pare.

Un saluto e grazie ancora

Rosemary

(…)
D.: A proposito del problema della comunicazione orale del testo poetico, qual’è il ruolo giocato dall’attore riguardo al testo nel momento in cui si pone come mediatore di un contenuto che, all’origine a lui completamente estraneo, viene poi in qualche modo assimilato e fatto proprio prima di essere “pronunciato”?
R: È senza dubbio positivo il fatto che si torni in poesia all’oralità, perché la poesia, alla prova della dizione, diventa sicuramente un’altra cosa, ma si arricchisce anche di valori comunicativi. I casi sono due: o la poesia viene letta dall’autore, oppure si lascia agli attori il compito di pronunciarla. Entrambe le possibilità sono legittime, e sono tutt’e due delle interpretazioni. Quella dell’autore può risultare più affascinante in relazione ad una conoscenza più approfondita della persona che ha scritto il testo, che corrisponde o non corrisponde all’idea che ci si è fatta leggendo la sua poesia. Ma gli autori sono poi autorizzati ad un’unica interpretazione della loro opera: si negherebbe la funzione del lettore e dell’ascoltatore; quella dell’attore va a costituire una “sovrapposizione” di interpretazione. Ma anche qui occorre fare una distinzione.
Vi sono degli attori infatti che giggioneggiano, e che mettono in scena se stessi. Pensiamo al tipico esempio di Gassman, o anche Albertazzi, che non recitano la poesia, ma se stessi come attori. Altri invece, come per esempio gli attori doppiatori di professione, nello svolgere il loro lavoro di interpretazione, si pongono seriamente il problema del linguaggio della poesia e delle sue misure, cercando di rispettarle. Uno di questi molto bravo è Umberto Tabarelli, che ha tenuto dei corsi sulla dizione. Un attore conosciuto, bravo e misurato è Giancarlo Sbragia. Un altro poco conosciuto è Paolo Bessegato, che da anni si pone il problema della lettura della poesia. Il problema della lettura della poesia va affrontato nei suoi termini reali, studiando il meccanismo metrico-musicale di un testo poetico. L’errore più grande che può fare un attore è di recitare il “senso”, di ridurre la poesia alla sua parafrasi, invece di rispettarne il ritmo. È dal ritmo che viene fuori il senso e il senso non è mai univoco. A mio parere è in radio che un attore che legga poesia lavora in maniera più professionale. Se la lettura dell’autore è per certi versi più legittima, è comunque vero che un ascoltatore medio può rimanere sconcertato da un’interpretazione eccessivamente “soggettiva”. In questo senso l’attore fornisce un’interpretazione molto più “professionale” di quello spartito musicale che è il testo poetico. Si è visto come la lettura di una poesia è quasi un’interpretazione filologica attenta alle pause, e ai sensi grafici quali possono essere le virgole e i punti. Una poesia richiede uno studio preciso e serio. Non è possibile improvvisarsi interpreti di un testo; per far questo ci vuole un’autentica scuola.

D.: Allora si può dire che un testo poetico letto individualmente non è mai il testo poetico letto dall’autore e tanto meno quello letto dall’attore.
R: Certo. Queste sono tutte interpretazioni. E tutte le interpretazioni sono possibili. Anche chi legge la poesia nel silenzio o nel rumore della sua casa interpreta, sebbene essa rimanga un’operazione segreta. Quella dell’attore è un’interpretazione che viene alla luce e che rimane pur sempre interessante. Un attore intelligente va fino in fondo ai significati di una poesia, fino a scoprire dei significati sfuggiti con la prima lettura. In ogni caso guai all’attore che mette in scena la sua voce, la sua persona, il suo tipo di seduzione o di pseudoseduzione. (…)
da: Erbafoglio. Foglio di inserzioni riflessioni poetiche interventi su cose ed eventi. Anno 2, n. 6, ottobre-dicembre 1989
Intervista ad Antonio Porta
per bio vedi: Wikipedia

Giustino Mucci

Ottimo contributo Rosemary. Mi trovo decisamente d’accordo ed il discorso potrebbe arricchirsi ancora. Magari in un futuro prossimo darò altri spunti sullo stesso argomento per ragionarci insieme, calcando in particolare la mano sulla riflessione di quel che diciamo soggettività nella letteratura e nell’interpretazione in genere. Un punto che, davvero, i più hanno spesso totalmente travisato.

stanislao

… m’hanno rovinato diverse poesie in concorsi dove mi sono classificato. la risoluzione è molto semplice … scrivere sul bando che, non essendoci attori validi per leggere le poesie, o la legge l’autore o l’autore stesso si porta chi vuole lui … credevo fosse un problema mio, ed invece vedo che è diffusa l’usanza di far leggere le poesie classificate, a persone che dicono di saperolo fare, ma poi … grazie per l’opportunità …

(…)
D.: A proposito del problema della comunicazione orale del testo poetico, qual’è il ruolo giocato dall’attore riguardo al testo nel momento in cui si pone come mediatore di un contenuto che, all’origine a lui completamente estraneo, viene poi in qualche modo assimilato e fatto proprio prima di essere “pronunciato”?
R: È senza dubbio positivo il fatto che si torni in poesia all’oralità, perché la poesia, alla prova della dizione, diventa sicuramente un’altra cosa, ma si arricchisce anche di valori comunicativi. I casi sono due: o la poesia viene letta dall’autore, oppure si lascia agli attori il compito di pronunciarla. Entrambe le possibilità sono legittime, e sono tutt’e due delle interpretazioni. Quella dell’autore può risultare più affascinante in relazione ad una conoscenza più approfondita della persona che ha scritto il testo, che corrisponde o non corrisponde all’idea che ci si è fatta leggendo la sua poesia. Ma gli autori sono poi autorizzati ad un’unica interpretazione della loro opera: si negherebbe la funzione del lettore e dell’ascoltatore; quella dell’attore va a costituire una “sovrapposizione” di interpretazione. Ma anche qui occorre fare una distinzione.
Vi sono degli attori infatti che giggioneggiano, e che mettono in scena se stessi. Pensiamo al tipico esempio di Gassman, o anche Albertazzi, che non recitano la poesia, ma se stessi come attori. Altri invece, come per esempio gli attori doppiatori di professione, nello svolgere il loro lavoro di interpretazione, si pongono seriamente il problema del linguaggio della poesia e delle sue misure, cercando di rispettarle. Uno di questi molto bravo è Umberto Tabarelli, che ha tenuto dei corsi sulla dizione. Un attore conosciuto, bravo e misurato è Giancarlo Sbragia. Un altro poco conosciuto è Paolo Bessegato, che da anni si pone il problema della lettura della poesia. Il problema della lettura della poesia va affrontato nei suoi termini reali, studiando il meccanismo metrico-musicale di un testo poetico. L’errore più grande che può fare un attore è di recitare il “senso”, di ridurre la poesia alla sua parafrasi, invece di rispettarne il ritmo. È dal ritmo che viene fuori il senso e il senso non è mai univoco. A mio parere è in radio che un attore che legga poesia lavora in maniera più professionale. Se la lettura dell’autore è per certi versi più legittima, è comunque vero che un ascoltatore medio può rimanere sconcertato da un’interpretazione eccessivamente “soggettiva”. In questo senso l’attore fornisce un’interpretazione molto più “professionale” di quello spartito musicale che è il testo poetico. Si è visto come la lettura di una poesia è quasi un’interpretazione filologica attenta alle pause, e ai sensi grafici quali possono essere le virgole e i punti. Una poesia richiede uno studio preciso e serio. Non è possibile improvvisarsi interpreti di un testo; per far questo ci vuole un’autentica scuola.

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