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L’«inverecondia categorica» di Un amore, tra prostituzione testuale e necessità.
(pubblicato in: AA.VV., La saggezza del mistero. Saggi su Dino Buzzati, Ibiskos Editrice Risolo, Empoli, 2006.
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La Verità nuda è un significante vuoto, che significa se stesso e nient’altro, un contenitore per qualsiasi altra pretesa e illusoria ipotesi riguardo alla sua natura, specchio delle finzioni ornate che l’osservatore vuol farsi raccontare, à la carte. La mitizzazione costruita dal testo su e intorno al personaggio di Laide conduce alla sua pur temporanea ”assunzione in cielo”, apoteosi, una divinizzazione dunque. Lo sforzo ermeneutico congiunto tra enunciatore ed enunciatario corrisponde a ciò che Furio Jesi definisce «epifania mitica di singole persone divine, contraddistinte non dagli attributi specifici (poiché gli dèi sono anzitutto persone, e gli attributi sono soltanto il frutto dello sforzo di rendere più piccolo l‘abisso fra dèi e uomini), ma da una misteriosa personalità non definibile altro che dal volto del dio: simbolo che ”riposa in se stesso”», come precisamente si manifesta, nudo e perfetto, il significante-Laide al termine del romanzo. «I simboli, infatti» spiega Jesi «e le genuine immagini mitiche posseggono una singolare individualità esistenziale che si altera non appena il mito subisce una tecnicizzazione», ossia se «viene evocato deliberatamente per precisi scopi». Forse «la morte – la parvenza del nulla – prevale sulla coscienza», anche «senza che gli uomini ricorrano volontariamente alla tecnicizzazione del mito», perché «il gravare della morte sull’uomo è un fenomeno dalle leggi misteriose, che rifiutano ogni sistematizzazione», come Buzzati, Antonio Dorigo e il lettore ben sanno, anche se la ”malattia amorosa” fa dimenticare talora tale «pensiero antico», immanente, «la più importante di tutte le cose», sovrastante ogni essere umano come una «grande torre inesorabile nera» (p. 270): «Sì, l’amore gli aveva fatto completamente dimenticare che esisteva la morte. Per quasi due anni non ci aveva pensato neppure una volta, sembrava una favola, proprio lui che ne aveva sempre avuto l’ossessione nel sangue. Tanta era la forza dell’amore. E adesso all’improvviso gli era ricomparsa dinanzi, dominava lui la casa il quartiere la cittá il mondo con la sua ombra e avanzava lentamente».
Intorno ai rispettivi destinatari comunicativi, Dorigo e il lettore, la realtà attende la conclusione del sogno, il termine della pausa, la fine dell’esperienza extra-mondo, questa lunga parentesi narrativa, creativa, esistenziale. Milano, indifferente, dorme: solo tu, lettore, sei rimasto a sorvegliare il sonno – o la morte – di Dorigo, circondato dalla tua realtà contingente. Ognuno è restituito al proprio mondo, per restarvi. “Domani forse sarà tutto come prima”: ma adesso, in questo preciso momento, rien ne va plus.